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Crif Ratings: l’alimentare italiano è appetibile per gli investitori
Tra il 2007 e il 2015 il valore aggiunto nominale dell’industria del Food&Beverage è cresciuto del 4%, l’export del 58%
(AGRA) – L’alimentare italiano è sufficientemente robusto per sostenere piani di investimento per la crescita ed è quindi appetibile per gli investitori. Lo si evince da una ricerca recentemente effettuata da Crif Ratings, agenzia di rating sul settore.
L’industria del Food&Beverage è uno dei settori che meglio hanno retto l’impatto della crisi. Tra il 2007 e il 2015 il valore aggiunto nominale è cresciuto del 4%, una performance non straordinaria che assume però una valenza particolare se confrontata con il complessivo tessuto manifatturiero che parallelamente ha perso il 15%.
“La tenuta del settore – afferma Paolo Bono, associate corporate ratings presso Crif Ratings – non è solo imputabile alla bassa ciclicità che lo caratterizza e lo rende meno esposto alle fasi recessive; un grande contributo è venuto dalla capacità di estendere la presenza sui mercati internazionali”. L’export di prodotti alimentari è cresciuto del 58% tra il 2007 e il 2015, un incremento molto più sostenuto rispetto al +14% contestualmente rilevato per il totale dei prodotti manifatturieri. “Sorprendente – continua Bono – è soprattutto la costanza con cui il settore ha performato meglio del complessivo manifatturiero sui mercati esteri: ciò è avvenuto quasi sempre, sia nelle fasi recessive che in periodi di crescita”.
Il 2014 potrebbe essere stato il momento di svolta per il settore. Dopo anni di deterioramento, i margini hanno iniziato a risalire trovando conferma nel 2015 con un Ebitda margin al 7,2% (6,9% nel 2014 e 6,3% nel 2013), un livello sostanzialmente allineato al 7,3% del 2007. Un’inversione di tendenza, sempre a partire dal 2014, è emersa anche sugli investimenti ma in tal caso la ripresa è molto più contenuta: l’incidenza degli investimenti sul fatturato è passata dal 2,7% nel 2013 al 2,9% nel 2015 un livello che resta ben al di sotto del dato pre-crisi (4,3% nel 2007).
Crif Ratings sostiene che le imprese del settore torneranno ai livelli di investimento del periodo pre-crisi solo quando percepiranno come sostenibile e di medio periodo la ripresa del mercato interno. Negli ultimi due anni a trainare il lieve rialzo degli investimenti sono stati i segmenti merceologici con una spiccata propensione all’export, che hanno potuto beneficiare di una costante crescita della domanda estera. “Non tutte le aziende del Food&Beverage – afferma Bono – producono e commercializzano vino, pasta o caffè, ossia prodotti destinati per almeno un terzo sui mercati esteri. La propensione all’export dell’alimentare è cresciuta costantemente negli ultimi anni ma oggi è ancora al 21%. Molte produzioni hanno il loro naturale sbocco sul mercato nazionale: si pensi al latte o alle carni. Le imprese che operano in questi segmenti ritorneranno a investire significativamente solo con una ripresa solida dei consumi interni. In caso contrario dovranno riorganizzare la produzione verso prodotti di seconda lavorazione come formaggi e salumi, più facilmente esportabili”.
Rispetto a quanto avveniva nel periodo pre-crisi, oggi la quota di cash flow destinata agli investimenti è diminuita sensibilmente: nel 2015 il rapporto tra Ffo (Funds from operations) e investimenti è pari a 1,94x rispetto all’1,24x registrato nel 2007. In maniera speculare si è ridotta la leva finanziaria, sia su base Ebitda (2,99x nel 2015 dal 3,47x nel 2007) che su base patrimoniale (0,57x nel 2015 da 0,86x nel 2007). Come spiega Roberta Mantovani, rating specialist presso Crif Ratings, “soprattutto nell’ultimo triennio (2013-2015) le aziende alimentari hanno preferito impiegare i flussi di cassa in accantonamenti patrimoniali e più in generale nella riduzione della leva finanziaria”.
Alla riduzione della leva si è accompagnato un lieve consolidamento del debito finanziario grazie anche all’aumento della componente obbligazionaria. Il debito finanziario si è spostato di due punti percentuali verso il medio e lungo termine tra il 2007 e il 2014 mentre il peso dell’obbligazionario sull’indebitamento è arrivato al 6,3% dal 3,3% del 2007. Secondo Mantovani, “ciò sembra testimoniare una crescente attenzione delle imprese del settore verso la necessità di allungare la durata media del debito. A questo scopo, la diffusione degli strumenti obbligazionari può dare un grande contributo”.
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