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Agrifood Monitor: tutti i dati utili per lo sviluppo dell’export agroindustriale
La crescita delle esportazioni rallenta (+1,7% nel primo trimestre 2016) e sposta dal 2020 al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di euro
(AGRA) – La piattaforma informativa Agrifood Monitor – iniziativa congiunta di Nomisma e Crif in collaborazione con Crif Ratings, Sose e Unioncamere Emilia Romagna – condensa in un unico strumento dinamico dati di fonti diverse per delineare un quadro di analisi completo, dalla struttura del settore agroindustriale italiano ai trend sui mercati internazionali, partendo da due focus sul dairy in Gran Bretagna e sulle tendenze d’acquisto negli Emirati Arabi Uniti.
L’obiettivo è fornire alle imprese italiane export oriented “una bussola completa e aggiornata oltre a benchmark di immediata comprensione a supporto dello sviluppo di efficaci strategie di internazionalizzazione e di marketing”.
L’approccio è nuovo perché mette a fattor comune dati di fonti diverse per una lettura sistemica e dinamica delle informazioni in ottica di filiera e perché è aperto a costanti arricchimenti nel tempo sia di contenuti trasversali sia di focus specifici su settori e mercati.
Uno strumento, quindi, per affrontare i mercati internazionali dovendosi confrontare con una situazione congiunturale non semplice: dalla Brexit, che interessa particolarmente coloro che esportano circa 3,6 miliardi di euro di prodotti finiti e macchine per il food nel mercato britannico, ai negoziati per gli accordi di libero scambio (Ceta, Ttip) fermi al palo, dal commercio internazionale che rallenta alla pressione concorrenziale di competitor globali che aumenta, fino al cambio radicale delle abitudini e degli stili di consumo degli occidentali.
Agrifood Monitor evidenzia che, dopo il piccolo recupero dei consumi alimentari sul mercato interno (+1,1%) avvenuto nel 2015, i primi 5 mesi del 2016 segnano (secondo dati Nielsen) un nuovo stallo (-0,2%). E anche sul mercato internazionale il primo trimestre mostra una crescita dell’export agroalimentare italiano di appena l’1,7%, troppo poco se si vuole arrivare al fatidico traguardo dei 50 miliardi di euro entro il 2020. Senza contare le problematiche strutturali che connotano il sistema agroindustriale nazionale (dal nanismo delle imprese ai gap infrastrutturali del Paese o alla mancanza di catene della Grande distribuzione italiana all’estero) e che in parte spiegano perché la propensione all’export delle aziende alimentari tedesche è pari al 33% contro il 23% di quelle italiane.
Comunque l’andamento del credito all’export erogato alle imprese della filiera agrifood conferma la crescente internazionalizzazione del settore: da un 16% di imprese che utilizzavano finanziamenti all’export nel 2013, si è arrivati oggi al 41%.
“Se vogliamo arrivare al traguardo dei 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020 – afferma Andrea Goldstein, managing director di Nomisma – dobbiamo affrettare il passo, investendo maggiormente su mercati a più alto tasso di crescita economica come quelli asiatici: le nostre stime ci dicono infatti che, con lo scenario economico attuale, rischiamo di raggiungere l’obiettivo solo nel 2024”.
Sebbene nell’ultimo decennio l’incidenza sulle esportazioni italiane si sia ridotta, il mercato europeo continua a pesare per il 63% nel caso dei prodotti alimentari, per il 57% per le macchine agricole e per il 35% per i macchinari per il food&beverage.
“Dobbiamo aumentare la nostra presenza nei mercati extra-europei – ribadisce Goldstein – dove oggi il nostro export alimentare pesa per meno della metà di quello francese o addirittura di un ottavo di quello statunitense. Possiamo farcela se riusciamo a combinare la buona reputazione che i nostri prodotti vantano in giro per il mondo con strutture aziendali che promuovano la crescita accelerata”.
La conferma arriva da un’indagine svolta sui consumatori di prodotti alimentari degli Emirati Arabi Uniti, un mercato dove la quota dei prodotti italiani è ancora inferiore al 3% delle importazioni alimentari complessive, ma dove il reddito pro-capite dovrebbe passare dagli attuali 40mila dollari ad oltre 53mila nel giro di dieci anni.
L’indagine di Agrifood Monitor ha messo in luce come al Made in Italy venga riconosciuta un’elevata qualità derivante da unicità di gusti e tradizione produttiva, fattori che fanno preferire i prodotti italiani non solo a quelli francesi ma a quelli di tutti i concorrenti.
“Gli Emirati Arabi – spiega Marco Preti, amministratore delegato di Cribis D&B, società del Gruppo Crif specializzata nella business information – sono una porta su tutta l’Asia sud-occidentale che apre grandi prospettive alle imprese italiane, e non solo in vista di Expo 2020. Ma la qualità dei nostri prodotti non basta per affrontare mercati lontani come quelli asiatici, se non si costruiscono rapporti commerciali e finanziari sicuri e in questa direzione strumenti di informazione e analisi diventano un asset strategico”.
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