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Perché Kraft punta su Unilever
La Kraft-Heinz, nata dalla fusione di due marchi storici americani, oggi controllata da Warren Buffett e dalla 3G di Jorge Paulo Lemann, ha messo sul piatto 143 miliardi di dollari per acquisire Unilever, che peraltro realizza vendite per 58 miliardi di dollari, il doppio del fatturato di Kraft-Heinz. Unilever per ora ha rifiutato l’offerta ma la Kraft potrebbe alzarla e arrivare a un accordo.
La decisione di Kraft di investire ben 5 volte il suo fatturato 2016, pari a circa 28 miliardi di dollari, per portarsi a casa Unilever trova più di una giustificazione economica. La prima va ricercata nella complementarietà del business. Pur essendo entrambi i gruppi attivi nei prodotti di largo consumo, la Kraft Heinz fonda la sua attività soprattutto nel food, mentre Unilever, oltre a un’importante presenza nell’alimentare con marchi come Lipton, Tè Ati, Algida, Magnum, Knorr, Hellmann’s, Calvè, Carte d’Or, Becel/Flora, è attiva prevalentemente nel non food (35 su 58 miliardi di dollari di fatturato) e in particolare nella cura della persona, settore in cui la forza del brand riesce meglio a competere con i marchi del distributore. Inoltre, allargare il numero di marchi forti ed essere presenti in più categorie consente, come ha spiegato il patron di Danone, Emanuel Faber, in un’intervista al quotidiano francese Les Echos, di “avere vantaggi nella guerra per la conquista dei metri lineari sugli scaffali della grande distribuzione. La visibilità sugli scaffali è cruciale per il successo di una marca e questa è strettamente e correlata al peso che hanno le imprese nella negoziazione con la grande distribuzione”. Oltre a questi vantaggi esterni vi sono le economie di scala che forse sono ancora più importanti. A questo riguardo si segnala che un anno dopo la fusione tra Kraft e Heinz, avvenuta nel 2015, è stato ridotto il personale di 5.000 unità e sono stati chiusi 7 stabilimenti, realizzando le stesse vendite dell’anno precedente, ma con utili crescenti. Il patron di 3G Jorge Paulo Lemann è rinomato per la sua efficienza brutale: all’interno di 3G vige il motto “i costi sono come le unghie, vanno costantemente tagliati”.
Infine, altro aspetto da non trascurare è che tutti i marchi di Unilever sono riferiti a prodotti non legati a specifici territori (negli anni passati Unilever aveva ceduto l’olio italiano con i marchi Bertolli, Maya, Dante e San Giorgio alla società spagnola Grupo Sos). Questa circostanza, peraltro comune a molti gruppi multinazionali (non è un caso che nei loro portafogli marchi non figurino prodotti Dop e Igp), offre la possibilità di realizzare le produzioni dove risulta più conveniente. In questo scenario si comprende come la spinta alla concentrazione dei grandi gruppi multinazionali sia da mettere in relazione più a una strategia di difesa che di attacco, come si potrebbe invece pensare: in uno scenario globale in cui i consumi stagnano e i grandi brand dei gruppi multinazionali sono sottoposti alla concorrenza crescente dei prodotti a marchio del distributore, sta venendo meno la possibilità di crescere per vie esterne attraverso l’aumento delle vendite e quindi si punta a crescere con le acquisizioni e il recupero dei margini attraverso le economie di scala e la riduzione dei costi, in particolare quelli del personale.
Sergio Auricchio
auricchio@agraeditrice.com