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Indagine Vinitaly-Nomisma Wine Monitor: i consumi di vino si spostano ad Est
Nei prossimi 5 anni vino italiano in crescita in Cina (+38,5%), Russia (+27,5%), Usa (+22,5%), Giappone (+10%)
(AGRA) – Il posizionamento del vino nel mercato mondiale è cambiato e continuerà ad evolversi ancora di più nel prossimo quinquennio. Da prodotto di consumo quotidiano a tavola, il vino è divenuto un bene voluttuario, trasformandosi da abitudine a strumento di costume, da bevanda storica degli europei a simbolo globale del lifestyle. Un prodotto la cui diffusione è destinata a crescere ulteriormente, ma in gran parte al di fuori delle sue aree di origine. Una second life del principale asset dell’export agroalimentare italiano (quasi 6 miliardi di euro in valore nel 2017) che i produttori dovranno coltivare in vigna ma anche sui mercati, nel marketing, nelle reti digitali. E in questo contesto anche il peso dei Paesi buyer cambierà inesorabilmente, con la geografia dei consumi concentrata sempre più oltre i confini europei. Con Cina e Russia, seguite dagli Stati Uniti, che da Est sono pronte a far lievitare gli ordini (anche italiani), complice l’escalation del Pil pro-capite che in Cina è atteso in crescita addirittura del 10,6%.
Questo lo scenario articolato dall’Outlook “Il futuro dei mercati, i mercati del futuro” di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor presentato in vista di Vinitaly 2018, in programma dal 15 al 18 aprile a Veronafiere. Lo studio è partito dagli ultimi 10 anni per prevedere come si evolveranno i consumi nei prossimi 5 e per capire soprattutto chi “darà le carte” tra i Paesi produttori in un mercato monstre, che per le sole cantine vale circa 31 miliardi di euro l’anno di export. Il quadro che ne è emerso è in parte confortante e allo stesso tempo allarmante per l’Italia. Da un lato c’è la locomotiva-vino del Belpaese che si è fatta sempre più strada negli ultimi 10 anni, con una crescita tendenziale in valore (+69%) doppia rispetto a quella francese e con 16 Paesi dove il tricolore è market leader (ma la Francia ne ha 29); dall’altra c’è una lontananza siderale dai mercati del futuro, quel Sud del mondo (più la Cina) in cui il nostro share di vendite non raggiunge mai, o quasi, la doppia cifra.
“Motivi strutturali, geopolitici, ma anche di marketing e commerciali – spiega Maurizio Danese, presidente di Veronafiere – perché siamo ancora troppo poco organizzati e decisivi nel posizionamento di un prodotto il cui vero discriminante sarà sempre più quello del prezzo e non del volume, che non è certo illimitato. Oggi per sopperire al nanismo delle nostre imprese e per penetrare nei mercati più lontani da noi sul piano delle affinità culturali serve un brand ombrello e una struttura qualificata in grado di accompagnare nel mondo non le singole aziende ma tutto il made in Italy enologico con modalità aggregative”.
“Dobbiamo essere in grado – aggiunge Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – di cavalcare alcune tendenze che ci favoriscono, come quella sparkling dei consumi mondiali, che è stata l’arma vincente degli ultimi anni, con una crescita nel decennio del 240% a fronte di una media mondiale sul segmento ferma a +50%. Con Vinitaly lavoreremo sempre di più fuori dai confini nazionali, anche in stretta collaborazione con Ice-Agenzia, perché siamo e restiamo convinti che solo attraverso un progetto di promozione di sistema oggi sia possibile per il vino italiano crescere in valore”.
Le previsioni di export al 2022
Stazionari la Germania e il Regno Unito, dove incidono negativamente età media e Brexit; in leggera crescita il Giappone, grazie all’imminente accordo di libero scambio; in ulteriore incremento nell’ordine Cina, Russia e Stati Uniti, veri player della crescita dei consumi grazie a fattori congiunturali considerati decisivi: aumento dell’upper class (fino al 25% della popolazione in Russia), tasso di urbanizzazione (arriverà al 63% in Cina) e Pil pro-capite in forte aumento. L’ecosistema-vino dei prossimi 5 anni restituisce un quadro positivo dei trend delle vendite a valore, anche se con meno impennate rispetto al recente passato in 6 mercati top del mondo (64% dell’intero valore dell’export italiano).
Per il responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, “accanto alla premiumization si prevede l’accentuarsi di tendenze di fondo legate ai consumi di vino, come la forte crescita dei consumi di sparkling e sempre più legati a modalità di consumi in linea con i cambiamenti sociodemografici, che confermano l’aumento del consumo di vino conviviale da parte di giovani. Un’altra variabile è data dagli accordi di libero scambio, che sin qui stanno avvantaggiando notevolmente Australia e Cile, specie in Cina, Giappone e Sud America”.
Per l’Italia, che segna variazioni complessivamente in linea con la domanda generale di vino, l’analisi previsionale a 5 anni presenta una media di crescita in valore dello 0,5% annuo in Germania e dell’1% nel Regno Unito (valori leggermente inferiori al mercato). Va meglio in Giappone, dove il trend delle vendite dovrebbe crescere del 2% l’anno e ancora di più nel principale mercato per il vino italiano, gli Usa, con variazioni previste attorno al 4,5% annuo e un incremento medio ipotizzato da qui al 2022 del 22,5%. Infine, i due mercati top a maggior tasso di crescita, con la Russia che dopo la crisi del rublo ha ripreso a volare (+27,5%) e la Cina, su cui si ipotizza un incremento del 38,5%.
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