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De Castro: con le biotecnologie e l’agricoltura verde si cresce
Pratiche commerciali sleali, ancora da approvare il decreto attuativo per recepire pienamente la direttiva Ue
(AGRA) – Biotecnologie, Brexit, agricoltura verde, pratiche commerciali sleali nel settore agroalimentare: in questa intervista rilasciata in esclusiva al nostro direttore Sandro Capitani, Paolo De Castro, ex ministro delle Politiche agricole, parlamentare europeo e primo vicepresidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, fa il punto sulle questioni di attualità nell’agroalimentare italiano e comunitario.
A che punto è il dibattito sulle biotecnologie in agricoltura? È un tema dai delicati risvolti etici.
Il dibattito sul confronto tra le New breeding tecniques (Nbt) o Tecniche di evoluzione assistita (Tea) e i tradizionali Organismi geneticamente modificati (Ogm) è quanto mai attuale ed è diventato via via sempre più acceso dopo una sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2018, che senza entrare nel merito sulla differenza tra queste due tecnologie ha di fatto lasciato in sospeso ogni decisione delegando la scelta agli Stati membri. Alla base delle Tea c’è la mutagenesi, una tecnica di biologia molecolare che non prevede lo spostamento di geni da una specie all’altra, o addirittura dal mondo vegetale a quello animale o viceversa, e che consente di ottenere nuove varietà di piante senza alterare il patrimonio genetico della specie: non è affatto contro natura, è una naturale estensione del tradizionale miglioramento genetico e ha l’enorme vantaggio di accorciare i tempi per la messa in commercio di nuove varietà più resistenti a stress climatici e a carenza d’acqua. Gli Ogm, invece, sono prodotti ottenuti dalla combinazione di geni tra specie diverse attraverso la transgenesi. Le Tea sono ormai conosciute da vent’anni e grazie agli studi condotti e tuttora in fase di implementazione, nel 2020 due ricercatrici sono state insignite del Premio Nobel. La comunità scientifica internazionale ha riconosciuto il loro straordinario contributo nella creazione di nuove varietà nel solco del miglioramento genetico tradizionale. E poi, non dimentichiamo che è grazie a queste tecnologie e alla conoscenza del genoma di molte colture che sarà possibile esaltare la biodiversità e ridurre l’impiego della chimica nei campi. Tra l’altro, queste biotecnologie agrarie non richiedono investimenti colossali, sostenibili solo dalle multinazionali, consentendo di mettere a punto nuove varietà anche a istituti sperimentali e piccole aziende sementiere e produttrici di presidi fitosanitari. Insomma, con le Tea metteremo la parola fine ai cosiddetti ‘Frankenstein Food’. Chi rema contro, o evoca il principio di precauzione, o non ha capito come funzionano, o è male informato. Il principio di precauzione richiamato da alcune associazioni ambientaliste e del settore biologico è lo stesso che tutti noi, in Italia, decidemmo di anteporre anni fa quando mettemmo al bando gli Ogm, ritenendoli non necessari.
Secondo alcuni dati, l’export italiano in Gran Bretagna è sceso di oltre il 12% con la Brexit. Il recente accordo commerciale fra Bruxelles e Londra lascia sperare in soluzioni positive?
L’accordo che abbiamo raggiunto con la Gran Bretagna l’aprile scorso è una solida base di partenza per un rilancio della futura politica commerciale dell’Unione. Tuttavia, anche in prospettiva, servirà una rigorosa parità di condizioni, cosiddetta ‘Level playing field’, fondata sulla clausola di non regressione degli standard produttivi, sociali, del lavoro e ambientali, che il governo di Londra dovrà dimostrare con i fatti, mettendo in campo misure unilaterali di ribilanciamento della concorrenza. E questo riguarderà non solo gli scambi agroalimentari tra le due sponde della Manica, ma anche altri settori. Basta vedere, ad esempio, cosa è recentemente successo con la Francia sul fronte della pesca al largo dell’isola di Jersey, con l’incursione di motovedette britanniche e di una nave da guerra francese che hanno creato forte tensione tra i due Paesi. E questo dopo che il Regno Unito aveva deciso di richiedere ulteriori condizioni per la concessione di 41 licenze a pescherecci Ue. C’è un accordo firmato a suo tempo da entrambe le parti: qualunque condizione dovrà essere basata su ragioni chiare e scientifiche e non discriminatorie.
L’Italia è fra i Paesi europei che meglio si stanno indirizzando verso una agricoltura verde. Le vendite di pesticidi sono diminuite di oltre il 30% in dieci anni. È questa la direzione?
Il nostro Paese da anni è impegnato per ridurre l’uso della chimica in agricoltura e i dati ufficiali lo dimostrano. La prossima Politica agricola comune, che entrerà in vigore nel 2023, non farà che accelerare questo processo che, nell’interesse di tutti – agricoltori, operatori della filiera e consumatori – dovrà portare l’Unione a diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Un obiettivo, questo, che a ben vedere è anche quello indicato nel New Green Deal lanciato dalla Commissione europea con le due strategie ‘Farm to Fork’ e ‘Biodiversity’. Un patto tra agricoltori e consumatori, dal campo alla tavola, supportato da adeguate risorse finanziarie e nuove biotecnologie agrarie basate sul miglioramento genetico per raggiungere target ambiziosi, come la riduzione del 50% di fitofarmaci e del 20% di fertilizzanti chimici, l’abbattimento del 50% di antibiotici negli allevamenti zootecnici e l’aumento ad almeno il 25% del totale della superficie coltivata con metodo biologico.
Lei ha sollecitato di recente il Governo italiano a recepire la direttiva europea contro le pratiche sleali nel settore agroalimentare. Cosa possiamo attenderci?
Per rendere applicabili le norme contro le pratiche sleali nel commercio di prodotti agricoli e alimentari in Italia manca ancora l’ultimo miglio: il Parlamento ad aprile ha approvato in via definitiva la legge Delegazione contenente anche la direttiva 633/2019 che al Parlamento europeo votammo in tempi record oltre due anni fa. Dopo la scadenza naturale del 30 aprile per il recepimento della direttiva, il nostro Governo si è preso altri tre mesi per varare il decreto legislativo che servirà a rendere efficace a tutti gli effetti la norma. Si tratta di un decreto interministeriale che oltre al ministero delle Politiche agricole coinvolge anche quello di Grazia e giustizia, che dovrà integrarlo con la parte relativa alle sanzioni in caso di mancato rispetto delle regole, e il ministero dello Sviluppo economico. La direttiva nel frattempo è diventata legge nazionale in Francia e in altri sette Paesi Ue, tra cui Grecia, Lituania e Slovenia che non avevano una legislazione preesistente in materia. Da noi invece il lavoro è più complesso, perché è necessario integrare l’articolo 62 previsto dalla nostra legislazione con l’articolo 7 della legge Delegazione, in modo da rendere coerenti i testi. A quel punto potremo arrivare a costituire l’Authority di contrasto, per la cui titolarità il Parlamento ha indicato l’Icqrf, Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi. L’obiettivo è mettere fine a ritardi nei pagamenti delle fatture, ad aste elettroniche al doppio ribasso che penalizzano gli agricoltori, con prezzi spesso al di sotto dei costi di produzione, ma anche a vendite sottocosto, ricarichi di spese per pubblicità dei prodotti non richieste e altre azioni che attualmente rendono iniqua la distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare e che ogni anno arrecano danni economici stimati in circa 350 milioni di euro.
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