Il biologico fa bene solo a chi lo produce?

Il biologico fa bene solo a chi lo produce?

In un precedente editoriale di settembre 2017 avevamo titolato Se il biologico diventa commodity e, prendendo spunto dall’acquisizione di Whole Foods da parte di Amazon, paventavamo il rischio di una commoditizzazione del biologico per cui, a fronte di una domanda crescente, aumentava l’offerta sul mercato di prodotti senza differenze qualitative. Un’offerta quindi fungibile, in cui il driver diventa fatalmente il prezzo. Analizzavamo quindi le conseguenze per i produttori bio: l’Italia è il Paese nel mondo che più ha investito nel biologico e migliaia di ettari sono stati riconvertiti a coltivazioni bio; ma già per alcune produzioni gli agricoltori italiani si trovano a competere con prodotti che arrivano dall’estero a prezzi più bassi, ma anche con un’offerta concentrata in grado di corrispondere meglio alla crescita della domanda.

In questo editoriale voglio spostare l’attenzione su quello che sta avvenendo nel settore a valle della produzione, quello della distribuzione. A intuire le potenzialità del biologico nella grande distribuzione fu, una quindicina di anni fa, in particolare Esselunga, allora a guida Giuseppe Caprotti, poi estromesso nella direzione dal padre Bernardo (segnalo che Giuseppe Caprotti fu anche il primo nella distribuzione a lanciare l’e-commerce nel 2003). Ma se si esclude Esselunga, e anche Coop, in quegli anni il biologico restò praticamente ignorato dalla Gdo. Ma grazie ad alcuni pionieri e visionari, e anche per merito di distributori specializzati come NaturaSì e di una fiera come il Sana, il biologico è riuscito a diventare prima un fatto culturale e quindi anche economico.

Ma ora che il biologico è in forte crescita (oltre il 10% nell’ultimo anno) una decina di nuove catene si sono presentate sul mercato in Italia (vedi notizia in questo numero) e nello stesso tempo praticamente tutte le insegne della Gdo hanno allargato le referenze anche con linee dedicate al bio. Anche all’estero cresce l’interesse della grande distribuzione per il biologico: è notizia recente, riportata in questo numero, l’acquisizione da parte di Carrefour France della catena specializzata So.bio. In pratica, analizzando l’evoluzione del biologico negli ultimi anni, viene da dire che “chi ha scosso all’inizio l’albero del bio stenta a raccogliere i frutti”, mentre ad avvantaggiarsene sono gli ultimi arrivati. Il problema è che il biologico non può essere considerato al pari di altre categorie presenti sugli scaffali della distribuzione. È legato strettamente a una scelta di vita, al rispetto per la natura, alla tutela della biodiversità e della qualità delle acque. In definitiva, non è un prodotto, ma un elemento che racchiude aspetti culturali ed etici che si legano a una concezione olistica del nostro essere. La sensazione è che nel momento in cui il bio diventa un business tutto questo passi in subordine con il rischio che quanto affermato dalla senatrice Elena Cattaneo – Il biologico? Sì, fa bene. Ma solo a chi lo produce – sia sempre più condiviso.

Sergio Auricchio

auricchio@agraeditrice.com