Il marketing della nostalgia

Il marketing della nostalgia

Il giovane medico svizzero Johannes Hofer nel XVII secolo descrisse una malattia che sembrava colpire i mercenari elvetici impegnati in battaglie fuori dai loro territori con sintomi diversi, ma nello stesso tempo preoccupanti, come svenimenti, dolori di stomaco, febbre e un desiderio di rivedere le Alpi. La heim – weh (casa – dolore, o meglio la nostalgia di casa) fu quindi studiata e analizzata da psichiatri e medici. Oggi, a distanza di oltre 400 anni, la nostalgia (parola composta dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore): “dolore del ritorno”) viene studiata dagli uomini di marketing. Non è un caso che nei supermercati americani vengano sempre più diffuse le note delle canzoni di Madonna e dei Depeche Mode e che McDonald’s abbia una campagna in corso per promuovere “l’Originale 1955”, mentre lo stesso fa la Coca-Cola con prodotti vintage. Per non parlare di prodotti di casa nostra come le Pasticche Leone o il liquore Strega, oggi icone vintage, che hanno mantenuto negli anni la loro immagine retrò. Il fenomeno invade anche il mondo della moda con il rilancio del K-Way o degli zaini Invicta. E ancora: nonostante la diffusione dei cellulari che consentono di fotografare ad alta definizione mettendo in crisi le macchine fotografiche digitali si assiste al rilancio della mitica Polaroid, anche se in versione Hi-Tech, e a un nuovo interesse per le vecchie Leica. La nostalgia ispira anche film come il reboot di Ghostbusters o la serie lanciata da Netflix negli Usa The Get Down che racconta le origini dell’hip-hop degli Anni 70, una macchina del tempo con un investimento da 120 milioni di dollari.

Ma perché tanta attenzione al passato? La spiegazione è semplice: in uno studio del 2014 intitolato Nostalgia Weakens the Desire for Money pubblicato sulla rivista Journal of Consumer Research è evidenziato come chi è soggetto allo stato nostalgico sia più disposto a spendere. Ma non è solo questo: l’Istat certifica che i cittadini italiani nati tra il 1965 e il 1975 sono, con 9,7 milioni di persone, la generazione più numerosa. Ma anche la più ricca: questa generazione ha trovato lavoro in forma stabile o è riuscita a sviluppare con successo attività professionali, evitando il precariato e la disoccupazione che affliggono le nuove generazioni. Ma oltre a questi aspetti di carattere economico non è trascurabile la componente psicologica. Come ha messo bene in evidenza il sociologo canadese Marshall McLuhan, viviamo in un tempo in cui tutto avviene velocemente ed è sempre più difficile adattarsi alle nuove situazioni; da qui la necessità di ancorarsi al passato per non perdere la propria identità.

Sergio Auricchio

auricchio@agraeditrice.com