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Una riforma agraria per l’Africa
La terra ai contadini! Con questo slogan si vuole riassumere la riforma agraria. Ma è assolutamente riduttivo e per certi versi fuorviante. In Italia la Riforma agraria fu soprattutto un impegno importante in termini di mezzi e uomini attraverso gli Enti di riforma impegnati nell’assistenza agli assegnatari. Furono attivati migliaia di agronomi e zootecnici per fornire in certi casi anche nozioni di base ai nuovi agricoltori. Furono costituite centinaia di cooperative, molte delle quali ancora attive.
In questi giorni, di fronte ai grandi flussi migratori provenienti dall’Africa, si parla molto di “aiutare gli africani a casa loro”: facile a dirsi ma difficile a farsi. Per non dire anche di evidenti contraddizioni come quelle emerse dall’ostilità di alcune forze politiche, in primis Lega e Movimento 5 Stelle, all’apertura da parte dell’Ue ad importazioni di olio tunisino.
Se si vuole aiutare l’Africa occorre mettere da parte gli egoismi; nello stesso tempo è necessario affrontare la questione degli aiuti ai Paesi africani non tanto in termini di aiuti economici (a questo riguardo significativo è il libro di Dambisa Moyo La carità che uccide), ma soprattutto di servizi e di un’assistenza tecnica che punti a far crescere l’imprenditoria attraverso la cooperazione. Da questo punto di vista l’idea di Carlin Petrini degli Orti per l’Africa che nel 2014 Slow Food ha deciso di rilanciare, passando dai 1.000 orti ad una campagna per realizzarne addirittura 10.000, è sicuramente condivisibile. Il progetto prevede la promozione del consumo locale, l’educazione nelle scuole, la valorizzazione della biodiversità, la valorizzazione delle gastronomie africane, la sensibilizzazione su alcuni grandi temi. L’Africa per noi e per l’Europa da problema può essere una grande opportunità.
Ma mentre si pensa all’Africa il problema è che l’Africa l’abbiamo a casa nostra e di fronte a decine di migliaia di disperati che vagano nelle nostre città non si possono chiudere gli occhi. D’altra parte questi imponenti flussi di emigranti non sono una novità e né è pensabile che all’improvviso cessino; invito a leggere Furore di John Steinbeck in cui si descrive l’industrializzazione dell’agricoltura americana che provocò l’emigrazione di centinaia di migliaia di agricoltori (in questo caso americani) verso la California. Leggere Steinbeck è interessante non solo dal punto di vista letterario; recentemente è apparso per iniziativa di una piccola casa editrice, la Pentàgora, Contadini sulla strada con inediti di Steinbeck in cui lo scrittore e giornalista racconta come per l’accoglienza di questa improvvisa immigrazione, superato il primo impatto, le autorità governative abbiano messo a punto delle soluzioni al problema basate non solo sull’assistenza, ma che si fondavano sul coinvolgimento e sulla responsabilizzazione dei diretti interessati nella gestione dei campi, nella formazione e nell’istruzione come elementi fondanti dell’integrazione.
Responsabilizzazione, che significa diritti, ma anche doveri, cultura e integrazione, che sono gli elementi su cui fondare una nuova politica dell’accoglienza.
Sergio Auricchio